Già dal 1982 è obbligatorio per legge che l’etichetta di un prodotto rechi l’elenco degli ingredienti in modo chiaro e visibile; il decreto legislativo n.109 del 27/1/1992 è il testo ad oggi vigente e stabilisce i criteri per le etichette dei prodotti alimentari preconfezionati.
Ecco cosa dovrebbe contenere un’etichetta alimentare a norma di legge:
- denominazione di vendita
- elenco degli ingredienti
- gli additivi
- i quantitativi
- termini di scadenza e modalità di conservazione e di utilizzo
- chi l’ha fatto
- lotto di appartenenza del prodotto
La denominazione di vendita è semplicemente la descrizione del prodotto: gli può essere anche dato un nome di fantasia, ma deve comunque comparire la denominazione univoca (maionese, farina 00, ecc.) in modo che l’acquirente non sia tratto in inganno.
Le sostanze o elenco degli ingredienti contenute nel prodotto (compresi additivi e acqua, se supera il 5%) devono essere indicati sull’etichetta in ordine di peso decrescente: perciò il primo ingrediente citato è quello più presente, seguono gli altri fino ad arrivare al meno presente.
Quando troviamo la dicitura “in proporzione variabile” vuol dire che nessun ingrediente è prevalente rispetto agli altri. Quando, invece che con il loro nome specifico, gli ingredienti sono segnalati con il nome generico della categoria (es. “formaggio”), allora probabilmente non si tratterà del tipo più pregiato.
Tra gli ingredienti rientrano anche gli aromi e qui occorre una precisazione. Quando troviamo scritto genericamente “aromi” significa che si tratta di aromi artificiali, prodotti in laboratorio. Diversamente, se compare la dicitura “aromi naturali” si tratta di essenze, estratti, succhi ottenuti da materie vegetali. Inutile dire che è meglio preferire quei prodotti che contengono aromi naturali.
I primi tre ingredienti segnati sull’etichetta sono quelli che noi principalmente stiamo mangiando.
Per additivi si intende sostanze (autorizzate dalla legge italiana solo per determinati alimenti e in quantità ben precise) usate per diversi motivi: coloranti, emulsionanti, antiossidanti, edulcoranti. Ne esistono centinaia e a ognuno corrisponde una sigla (che può essere sostituita dalla dicitura esatta dell’additivo) costituita dalla lettera E e da un numero: le sigle da E100 a E199 indicano i coloranti, quelle da E200 in poi si usano invece per gli altri tipi di additivi. Anche se autorizzati dall’Unione Europea, meglio sempre preferire quei prodotti a più basso contenuto di additivi.
L’etichetta deve riportare anche il peso o il volume netto del prodotto. Nel caso di prodotti conservati in un liquido deve essere indicato anche il peso sgocciolato.
Attenzione poi ovviamente alla data di scadenza :la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” indica che le caratteristiche del prodotto rimangono inalterate fino alla data indicata, dopodiché lo si può comunque consumare, ma non se ne assicura l’integrità. Quando invece leggiamo “da consumarsi entro“, si tratta di una scadenza vera e propria, dopo la quale il produttore non garantisce più.
La data dovrebbe essere scritta in modo chiaro e leggibile, con caratteri indelebili e in una posizione facilmente individuabile dal consumatore (regola che purtroppo non sempre viene seguita). Essa deve indicare:
- il giorno, il mese e l’anno per i prodotti conservabili per meno di tre mesi (latte fresco, mozzarelle, yogurt, ecc.)
- solo il mese e l’annoper gli articoli conservabili per più di tre mesi ma per meno di 18
- solo l’anno per alimenti come i pelati o le verdure in scatola conservabili per più di 18 mesi
L’indicazione non è invece obbligatoria per i prodotti ortofrutticoli freschi, i vini, l’aceto, i superalcolici, il sale da cucina e lo zucchero.
Per i prodotti che hanno bisogno di una particolare conservazione (es. i surgelati) la modalità deve essere sempre indicata, così come il loro corretto utilizzo (es. la dicitura “consumare previa cottura”).
In ultimo, per poter acquisire più consapevolezza e abilità nello scegliere i cibi occorre imparare a leggere il codice a barre presente sulle confezioni. Quello del codice a barre è un meccanismo semplice da capire: a ogni numero equivale qualcosa. Il sistema dei codici a barre rende facile la vita di cassieri e magazzinieri, per la gestione degli ordini, la collocazione su scaffali, gli inventari… ma il codice a barre torna utile anche a noi consumatori per capire la tracciabilità di un prodotto.
In Italia il codice a barra più comune è indubbiamente l’EAN, European Article Number.
La provenienza di un prodotto può essere facilmente dedotta dalle prime cifre del codice a barra. Da queste si può capire se il prodotto è stato confezionato in Italia, in Cina, in India ecc. Qui di seguito troverete la tabella riassuntiva dei codici di provenienza.
890 |
India |
690, 691, 692 |
Cina/PRC |
40-44 |
Germania |
471 |
Taiwan |
30-37 |
Francia |
50 |
Regno Unito |
49 |
Giappone |
00 – 09 |
USA e Canada |
80 |
Italia |
84 |
Spagna |
Capire da dove arriva il prodotto non significa conoscerne le origini con assoluta certezza. Non sempre le prime cifre possono identificare la reale origine di un prodotto e questo accade perché un produttore italiano può:
- usare materie prime estere
- commercializzare prodotti alimentari importati da altre nazioni
- produrre in Italia ma avere un codice a barra diverso da quello che identifica il nostro paese perché presenta sede legale all’estero.
Per essere dunque certi della provenienza si dovrà prestare attenzione alle altre diciture presenti in etichetta:
- Prodotto distribuito da: in questo caso si tratterà probabilmente di un prodotto importato.
- Fabbricato nello stabilimento di: se la località segnata è italiana, si tratterà probabilmente di un prodotto alimentare nostrano.
I prodotti biologici seguono un metodo di etichettatura particolare.Si possono trovare informazioni esaurienti in proposito sul sito di Qcertificazioni, http://www.qcsrl.it, un organismo di controllo e certificazione indipendente.